La storia di Lipari
LIPARI NEL ‘500
La città di Lipari, che dopo le incursioni saracene del
IX secolo s’era venuta ricostruendo per volontà dei monarchi normanni, si
presentava nel primo Cinquecento ancora fresca di Medioevo. Sull’isola dominava
una borghesia terriera e armatoriale particolarmente attiva, che teneva
rapporti con le più frequentate città portuali del Tirreno e del basso
Adriatico.
Dei novemila individui che abitavano Lipari, circa
duemila dimoravano entro il perimetro della città alta. Il resto della
popolazione risiedeva nelle case addossate alle pendici della rocca o
sull’altura della Maddalena; oppure in insediamenti rurali sparsi per la
pianura e le colline circostanti e sugli altopiani interni dell’isola.
Nel Borgo, ovvero nella città bassa, centro di culto e di
riferimento, era situato il convento dei frati Francescani con l’annessa chiesa
di San Bartolomeo, il tempio che per secoli custodì il corpo dell’Apostolo.
Alle due estremità della Marina di San Nicolò (Marina Lunga), ma piuttosto
distanti dalla riva, sorgevano le cappelle di
S. Caterina d’Alessandria e di S. Oliva, mentre sulla piattaforma
granitica, poco al largo della Marina di San Giovanni (Marina Corta), si
stagliava la piccola chiesa di S. Maria
della Neve, poi ribattezzata delle Anime
del Purgatorio.
Sulla città alta, in mezzo ad un fitto mosaico di
casupole o casalini, spiccavano le molte abitazioni del ceto borghese, il
palazzo vescovile, il ‘tocco dei giurati’ e cinque o sei chiese che, ad
eccezione della Cattedrale, erano tutte di assai modesta dimensione. Alle due
estremità e al centro dello spalto prospiciente al mare si ergevano tre
torrette, le stesse che nel secolo XIII avevano dato origine allo stemma civico
ma che ormai risultavano assai fatiscenti.
Pur condizionata dalla sua insularità, la città di Lipari
costituiva, nel primo Cinquecento, un ambiente umano completo e dove la
costante preoccupazione della comune difesa non impediva i contatti anche
culturali con la civiltà del mondo esterno.
Una certa parte della ricchezza che i navigli di Lipari facevano
confluire sull’isola veniva impegnata in opere ed espressioni tipiche dell’arte
del Rinascimento. Una di queste realizzazioni fu il rinnovamento della
Cattedrale, l’antica chiesa benedettino-normanna, di cui abbiamo notizie grazie
ad un documento del 1517.
In quell’anno, infatti, i Liparesi chiedevano a Carlo V di Spagna risorse per l’ampliamento e
il decoro della Cattedrale: coro, organo, arredi per gli altari, un degno
tabernacolo e la porta esterna definitiva. Al suo abbellimento provvidero anche
i vescovi e privati cittadini negli anni
successivi, ornando il soffitto con un tavolato riccamente dipinto e le pareti
di sacre pitture, come attesta lo storico Pietro Campis alla fine del 1600.
Un’altra notizia del primo ‘500 riguarda la concessione del
Vescovo di Lipari Gregorio Magalotto, residente a Roma, delle cave di zolfo ed
allume delle Isole, e in particolare dell’isola di Vulcano, a favore di
Genovesi e forse anche di Veneti: un segno evidente dell’attenzione e degli
interessi che in quel periodo maturavano sulle Eolie da parte di commercianti
che operavano su tutto lo scenario del Mediterraneo. Nello stesso documento,
oltre ai prodotti minerari di Vulcano, si parla anche di esportazione di
‘passole e passoline’ (uva passa di diverso calibro) fino a Costantinopoli.
LA “RUINA” del 1544
L’evento che segnò una vera e propria frattura nella
storia della comunità isolana fu il terribile sacco della città di Lipari ad
opera del pirata turco Ariadeno Barbarossa, la cosiddetta “ruina” che, oltre
alla perdita totale di documenti antecedenti a questo evento provocò, a motivo
dell’eccidio e degli abitanti condotti in schiavitù, un significativo ricambio
di popolazione.
La flotta del Barbarossa, dopo aver attaccato numerosi
porti e città del mar Tirreno, puntò su Lipari durante il suo viaggio di
ritorno verso Costantinopoli. Dopo ben dieci giorni d’assedio (dall’1 all’11
luglio), nel corso dei quali non mancarono tentativi di trattativa, gli uomini
del Barbarossa riuscirono a penetrare nella Rocca del Castello di Lipari, che
aveva resistito ai numerosi colpi dell’artiglieria nemica piazzata nel rione
“sopra la Terra”. Una volta dentro la Città, il Barbarossa saccheggiò le
abitazioni e profanò le chiese. Secondo le cronache del tempo l’abitato di
Lipari bruciò per diverse settimane e gli abitanti condotti in schiavitù furono
circa ottomila.
LA RICOSTRUZIONE
La terribile devastazione di Lipari operata dai turchi
dovette commuovere sia l’imperatore Carlo V che Papa Paolo III, i quali si
interessarono per favorire la ricostruzione della città, incoraggiandone il
ripopolamento.
Allo scopo di ridare un nuovo assetto urbanistico e una
sufficiente sicurezza militare, Carlo V erogò ingenti somme per la
ricostruzione, inviando anche una colonia di Spagnoli. I lavori per
l’edificazione delle mura, guidati dal capitano Gonzalo de Armella, vennero
affidati all’ingegnere di stato Pietro di Trivigno, che contemporaneamente
attendeva alle opere di fortificazione a Sorrento.
Condizione imprescindibile per la ripresa della vita in
un paese devastato, fu anche la riattivazione dei luoghi di culto. In tal senso
s’adoperò il Pontefice Paolo III che concesse al vescovo di Lipari la facoltà
di elargire generose indulgenze a coloro che avessero cooperato all’opera di
ricostruzione.
In ciò il vescovo Baldo Ferratini, pur continuando a
risiedere a Roma, si mostrò particolarmente zelante: già a partire dal 1545 si
registrano le chiese di San Giuseppe, di San Pietro, delle Anime Purganti nella
Marina di San Giovanni (attuale Marina Corta) e i lavori per la ricostruzione
della Cattedrale e dell’annesso palazzo vescovile. La Cattedrale fu officiata
regolarmente intorno al 1580, e fu dotata di volte che sostituirono il soffitto
ligneo.
La costruzione di nuovi luoghi di culto, secondo i dettami
del Concilio di Trento volti a promuovere l’evangelizzazione dei fedeli anche
nelle zone lontane dai centri urbani, venne portata avanti con particolare
dedizione anche dai successori di Mons. Ferratini.
Dal 1585 la diocesi liparense ebbe alla sua guida vescovi
di origine iberica (Martino d’Acugna, Giovanni Gonzales de Mendoza, Alfonso
Vidal) che influirono non poco nella introduzione di nuovi culti, come ad
esempio quello di S. Giacomo e di S. Vincenzo Ferreri, e nella correzione dei
costumi.
Mons. Martino d’Acugna (1585-1593) ebbe anche il merito
di riportare sull’isola il prezioso tesoro di una reliquia del corpo di S.
Bartolomeo, ovvero il pollice sottratto nell’eccidio del Barbarossa, custodito
ancor oggi in un pregevole reliquiario.
LA PRODUZIONE ARTISTICA
Dalla terribile esperienza del sacco turco del 1544,
Lipari usci più vigorosa e ricca di fermenti, che per molti aspetti
determinarono il suo inserirsi nel solco dell’età moderna. A livello artistico,
nonostante le irreparabili perdite, già da subito ricompaiono alcune
Interessanti testimonianze grazie agli scambi e ai commerci che i Liparesi
intrattenevano con i numerosi centri della Penisola.
Le opere sopravvissute, per la loro qualità e per le
connotazioni artistiche, riflettono il gusto della committenza, costituita da
prelati e da laici di varia provenienza ed estrazione sociale, in netta
preponderanza legata all’ambiente napoletano, ma anche all’area messinese e
palermitana.
Lipari nel ‘600 e ‘700
L’incremento demografico e urbanistico iniziato a Lipari
già nella seconda metà del XVI secolo, continua nel ‘600 e nel ‘700 e con esso
il fervore costruttivo e decorativo degli edifici religiosi, cui contribuì la
presenza più consistente degli ordini religiosi, specialmente Gesuiti e
Francescani.
Prende inoltre rinnovato impulso la devozione alla
Vergine Maria, testimoniata, alla data del 1681, dalla presenza nell’Isola di
ventitré su trentotto, tra chiese e cappelle, dedicate al culto mariano.
I Francescani Minori Osservanti, che avevano avuto in
custodia la chiesa di San Bartolomeo alla Maddalena, se n’erano andati dopo il
sacco del 1544. Ma nel 1584 arrivarono i Cappuccini, iniziando la
costruzione del convento e della chiesa di S. Francesco sulla Civita
(attuale Municipio e chiesa oggi detta di S. Antonio). Questi lasciarono il
Convento nel 1599, ma nella prima metà
del ‘600 dalla Calabria tornarono i
Frati Minori Osservanti e successivamente i Cappuccini, così che nel 1646
iniziarono i lavori per la costruzione del nuovo Convento fuori le mura della
città che nel 1650 risultava già abitato.
La devozione alla Madonna alla cui protezione era
stato già attribuito il trionfo dell’armata cattolica nel 1571 a Lepanto, è
documentata nelle Isole Eolie nell’ultimo ventennio del XVII secolo allorché
risultano dedicate al culto mariano ben ventitré, tra chiese e cappelle, delle
trentotto registrate nel 1681.
Ma già nel 1656 la Vergine Immacolata era stata
proclamata protettrice della Diocesi di Lipari. A lei era dedicata la Chiesa
della Concezione, poi detta di S. Caterina, e la Chiesa dell’Immacolata Concetione
ac Montis Pietatis (nata dalla fusione di tre cappelle precedenti e
contigue). La costruzione di un’ulteriore chiesa di grandi dimensioni, sempre
dedicata all’Immacolata, fu avviata subito dopo la metà del 1700 da parte della
Confraternita dell’Immacolata a seguito di un cospicuo lascito del canonico
Russo.
Tra il 1627 e il 1644 vennero inoltre finanziate opere
per la Cattedrale (il seggio vescovile all’interno del coro, la cappella del
Battistero con un artistico fonte battesimale ancor oggi esistente), mentre
nella città bassa, in ragione dell’aumento della popolazione, venne costituita
una “filiale sacramentale” della Cattedrale nella chiesetta di San Giuseppe di
cui fu iniziato l’ampliamento.
Una delle iniziative più interessanti nella seconda metà
del secolo fu l’apertura di una “scuola di grammatica”, gratuita e fruibile sia
dai chierici che volevano prepararsi al sacerdozio sia dai ragazzi poveri che
desideravano acquisire una cultura di base. In questa scuola, primo strumento
d’istruzione pubblica delle Eolie, si insegnava “la grammatica ed i rudimenti
della fede”. Inoltre, negli stessi anni, vennero aperte due biblioteche,
sovvenzionate dal Vescovo.
I vescovi e le confraternite operarono inoltre restauri
importanti a partire dalla fine del ‘600 all’inizio del ‘700.
Nel 1695 giunse infatti a Lipari il vescovo Girolamo
Ventimiglia, nobile palermitano dell’ordine dei Teatini, caro a Carlo II re di
Spagna e a tutta la Casa austriaca, che si dedicò al restauro della Cattedrale
creando un ampio sagrato, rinnovando la facciata e rifacendo il coro con
l’altare maggiore, oltre ai fastosi affreschi della volta con sedici scene
bibliche realizzate nei primi anni del 700.
Altre confraternite si impegnarono nel rifacimento
della chiesa della Madonna delle Grazie e della chiesa di S. Pietro nel
Suburbio.
Ma la tendenza continuò anche per il resto del XVIII
secolo, nonostante dal 1711 i vescovi non risiedessero più a Lipari ma a Roma,
facendo delle Eolie anche una meta di turismo culturale per visitatori europei,
come il presbitero e biologo italiano Lazzaro Spallanzani. Tra illustri visitatori si segnalano J.B. Labat Spirituosen (1711), S.
Schmettau (1720), W. Hamilton (1773), P. Brydone (1773), J. P. Houel (1778), D.
Dolomieau (1781).
I vescovi del settecento tutti siciliani oltre ad
essere pastori zelanti, mostrano di avere a cuore anche il benessere materiale
e sociale dei loro fedeli.
Della relativa prosperità dell’isola si giova dunque
anche l’arte sacra che si arricchisce di preziosi apparati liturgici.
Dall’unico calice sbreccato registrato alla fine del
Cinquecento, nel quale si poteva celebrare a stento, si passa nei secoli
successivi ad un inventario sempre più ricco di paramenti e vasi sacri che
alcuni vescovi commissionano alle più raffinate botteghe messinesi e
palermitane.
In particolare mons. Vincenzo M. De Francisco (1753-1769), nobile
palermitano dell’Ordine dei Domenicani donò alla Cattedrale nel corso del suo
governo preziosi oggetti di culto per l’ufficiatura e paramenti sacri, oltre a
rilegature di pregio per libri liturgici. Egli concesse al Capitolo altri
notevoli benefici e ne venne ricambiato con l’erezione di un busto nella
Cappella del Rosario della Cattedrale di Lipari, dove riposano anche le sue
spoglie.