Il palazzo vescovile di Lipari
Nei primi secoli del cristianesimo, a partire dai
tempi del vescovo S. Agatone (III sec. d.C.), i vescovi di Lipari avevano la
loro residenza nell’area intorno all’attuale chiesetta di San
Bartolomeo dove era sorto il primo luogo di culto della primitiva comunità
cristiana dell’Isola.
La Cattedrale, con la relativa residenza episcopale, venne
trasferita nel cuore della città alta, l’antica acropoli greca e romana,
allorché il Cristianesimo s’impose definitivamente sugli altri culti praticati
nell’Isola, verosimilmente sul luogo di qualche tempio pagano e in una
posizione certamente più sicura e difendibile.
Dopo il periodo della dominazione araba, a rifondare
una chiesa dedicata a S. Bartolomeo nel cuore dell’acropoli con annesso
monastero fu, tra il 1072 e il 1081, il normanno Conte Ruggero, che affidò
l’opera ad una comunità benedettina guidata dall’abate Ambrogio.
Quando Lipari divenne nuovamente sede vescovile, nel
XII secolo, gli ambienti del monastero vennero utilizzati come residenza dai
vescovi nominati alla sede di Lipari. E quando, nel XIII secolo, iniziò a
strutturarsi la municipalità, essa nacque praticamente all’ombra del vescovado.
Dopo il terribile sacco del pirata Ariadeno Barbarossa
(1544), durante il quale la cittadina fu in massima parte distrutta e la
popolazione significativamente decimata e deportata, la Cattedrale – anch’essa saccheggiata
e data alle fiamme – venne restaurata già alla fine del ‘500; fu riedifica
anche la casa del vescovo e recuperato un vigneto di ampie dimensioni e ancora
esistente nel secolo scorso, che sorgeva oltre il torrente (attuale corso
Vittorio Emanuele) nell’ampia zona pianeggiante ai piedi dell’acropoli, la ‘contrada
di Diana’, allora poco abitata perché poco difendibile dagli attacchi dei
pirati.
Qui nascerà, poco dopo, una seconda casa del vescovo
che con il tempo diverrà la residenza attuale. Infatti, nel 1605 il palazzo
vescovile accanto alla cattedrale risultava essere in tali pessime condizioni
da rendere necessaria una nuova dimora: una costruzione sobria di due vani al
piano terra con sopra due o tre stanze munite di baglio e
pergolato, all’interno della vigna. Fu il primo nucleo di quello che sarebbe
stato il nuovo e definitivo palazzo vescovile.
Vi si accedeva per un viottolo che collegava il
casalino con il torrente. Nel 1618 un nuovo vescovo decise di alloggiarvi
apportando significative migliorie, mentre un ulteriore ampliamento de nuovo palazzo
vescovile venne realizzato nel 1725.
Il trasferimento definitivo nell’episcopio del
suburbio fu forse incoraggiato anche dal fatto che un gran numero di persone
cominciava a lasciare la città murata per stabilirsi nel borgo sottostante la
Rocca, comprese famiglie appartenenti alla borghesia. Difesa dalle artiglierie
del Castello, la piana di Lipari sembrava infatti ormai sicura dalle scorrerie
dei pirati.
L’edificio nella vigna assunse l’aspetto odierno con i
lavori fatti eseguire dal vescovo Bonaventura Attanasio fra il 1845 ed il 1856,
con la piastrellatura in maioliche di tutte le stanze, e apponendo il proprio
stemma nella sala centrale del I piano (sala 5 del Museo) e sull’arco
d’ingresso della cappellina privata, sul cui pavimento – anch’esso in maioliche
siciliane – fu riportata la data del 1846 e al cui interno fu allocato un
altare in legno, sostituito agli inizi del 1900 da uno in marmo.
Intorno al 1870 il palazzo venne dotato dunque di
ulteriori sale e sopraelevazioni: quella dell’intero secondo piano,
dell’attico, dei due ampi saloni del primo piano a ponente e a mezzogiorno e
inoltre della scala di pietra a tre rampe che collega i piani.
Tra il 1913 e il 1928 il palazzo nell’acropoli rimase pressoché
disabitato e andò degradandosi.
Fu mons. Bernardino Salvatore Re, cappuccino
originario di Palermo, che nel 1928, appena giunse a Lipari, come Vescovo, mise
in atto un generale restauro del fabbricato, completato nel 1931, come recita
la lapide posta all’ingresso rivolto verso il castello. Dunque l’antico
episcopio non venne mai completamente abbandonato ed è attualmente utilizzato
quale sezione del Museo Archeologico Eoliano.
Negli anni ’60 del Novecento gran parte della vigna del
palazzo fu messa in vendita, venendo incontro al desiderio dell’amministrazione
comunale di tracciare nuove strade ed acquisire terreni per l’espansione
urbana. Parte della stessa venne invece espropriata a seguito degli importanti
rinvenimenti archeologici.